SIATE CORTESI

il mio studio di Genova in questo momento

Chiedetemi chi sono. Fatte finta di interessarvi a me. Ditemi che vi interessa sapere che cosa faccio e che cosa penso. Confesso che ho già preparato il discorso. Ho anche provato a ripeterlo di fronte allo specchio della camera da letto. Ero ancora in pigiama e con gli occhi cisposi. Ho tante cose da dire che vi sommergerò di parole. Credo che parlando riesca a capire anch’io chi sono. La vostra reazione sarà la risposta. Mi sono inventato bene, almeno credo. Capisco che dovrei imparare a recitare bene il ruolo che mi son dato. Se siete curiosi, rischiate l’incontro. Non so se l’abito, la circostanza, il luogo, conti, credo di si, come a teatro. Mi piace raccontare che sono nato un giorno di temporale. Il vento entrava dalle finestre sconnesse . Mi pare di ricordare il vento, anche se era di luglio. Quando mia madre mi ha partorito c’era un armadio con uno specchio in quella povera cameretta. Mi sono riconosciuto subito. C’era già tanta luce . La luce del giorno. L’acqua che mi hanno buttato addosso era acqua di mare molto salata. Non so chi cantava, non capivo le parole. Ricordo la musica di canna. Quando son nato io, i pesci della Marinella, sono tutti venuti a riva. Le murene ingoiavano le bisce che trovavano sulla ghiaia bianca. Mi hanno raccontato che i massi della scogliera ballavano tenendosi per mano. Il faro rosso singhiozzava e quello verde non smetteva di girarsi attorno per confondere la vista. Ho cominciato a nuotare prima di camminare. Volevo cercare le monete perdute nel fondale di alghe. Ero convinto che nel mare ci fossero tanti tesori smarriti. Quando non trovavo monete pescavo conchiglie morte, sbiancate dalle correnti e forate dal tempo. Ho imparato presto a farne collane. Chiedetemi come ho vissuto i miei primi cento anni. Ora ho perso il conto. Non sta bene contare gli anni. Gli anni scappano se li seguiamo. I miei anni sono inquieti e diventano cattivi se li osservi da vicino. Ho pascolato fra le nuvole ed munto le stelle per farne sogni entusiasmanti. Al posto delle braccia, i primi anni di vita, avevo le ali . Mi servivano per volare alto nella speranza. Ora si sono atrofizzate e non mi rimane che la fantasia. Mi dicono che un giorno invecchierò anch’io. Per sconfiggere il tempo metterò al collo la collana di conchiglie morte. Per vivere al meglio mi sono inventato il cielo e l’ho colorato come mi aggrada. Ho colorato anche le piante del mio giardino. Impazziscono di gioia se cambio loro il colore. Si divertono. Quando arrivo al mare, anche il mare cambia colore. Mi vuole accontentare, Conosce i miei colori. Per vivere felice ho illuminato tutto con la luce degli occhi. Non mi piacciono le persone che piangono ed ho fatto in maniera che al posto del pianto ci sia sempre il sorriso. Ho dotato tutti coloro che mi stanno accanto di corpi bellissimi, sopratutto delle femmine. Le femmine sono la poesia della mia vita. I loro corpi hanno linee sinuose e musicali, in armonia. Non ditemi che esagero. Vi assicuro che tutto ciò fa parte dell’avventura che voglio . Se avete la bontà di ascoltare vi renderete conto che il reale non esiste, se volete che non esista. Sono nato per sognare e nei sogni so usare la bussola per non sbattere sugli scogli dell’incredulità. Chiedetemi chi sono. Siate cortesi. Voglio parlare di me . Vorrei farmi conoscere, come dico io. Grazie. Siate pazienti. Ascoltate chi parla. Chi ascolta conosce tante vite e meglio la propria.

GENOVA PER ME

.Non sono nato a Genova ma questa città è sempre stata nei miei occhi e nel mio cuore. Dalla scogliera di Porto Torres mi sembrava di vedere già la lanterna che mi faceva l’occhiolino con la sua luce. Sono venuto a Genova per la prima volta dopo la quinta elementare per premio al mio comportamento scolastico. Conoscevo già la storia dei suoi illustri personaggi ma soprattutto l’architettura romanica. Visto che la basilica di san Gavino è coeva e ne ricorda lo stile e le intenzioni strutturali. Mio padre navigava e furtivamente mi hanno caricato su una piccolissima nave che attraccava dove ora c’è l’acquario. Arrivato in porto ho cominciato a girare per la città. La prima meta fu a cercare il monumento di Gian Battista Perasso. Visitai il giorno dopo le chiese di San Giovanni di Prè, San Donato e Santo Stefano. I giorni che la nave stette in porto, facevo avanti e in dietro sulla nave. Poi, quando la nave partì, mi ospitò una famiglia legata da una certa parentela a Ponte Decimo da dove a piedi salii in compagnia di altri ragazzi alla Madonna della Guardia. Ma il mio interesse era la grande città. Mi avevano parlato ed avevo letto dei palazzi di via Garibaldi ed avevo cercato di infilarmi dentro con scarsi risultati perché non riuscivo a vedere oltre gli ingressi nonostante le mie insistenze incomprensibili a chi ascoltava questo ragazzino biondo che viaggiava con un taccuino di appunti e disegni. Avevo trovato in un negozio di via san Luca una penna a feltro che avevo acquistato per disegnare con effetti inediti. Da quell’anno, dopo la scuola, Genova era la mia meta, che in qualche maniera raggiungevo. L’interesse a conoscere la sua Storia cresceva. Palazzo San Giorgio era per me un contenitore di storie fantastiche. Le donne sullo sgabello all’ingresso dei bar di via Gramsci erano mistero e fascino. Mi incuriosivano ed attraevano le unghia lunghe dipinte di rosso ed il trucco di quelle donne fantastiche. Mi infilavo dentro i locali per spiare e spesso riuscivo a parlare con loro. Chiedevo loro, come scusa, dove fosse la casa di Mazzini o Paganini e ne approfittavo per sciorinare ciò che di loro sapevo. Spesso mi ascoltavano e mi offrivano qualcosa al bar. Non accettavo quasi mai niente o un caffè latte ed un biscotto Lagaccio. Col passare degli anni la storia di Genova era il mio companatico, finché nel 57 non mi trasferì definitivamente. Mazzini mi aveva interessato e lo consideravo grande eroe, padre della Patria, così veniva catalogato nella mia testa di adolescente, anche già grande per necessità di vita. . Paganini era l’idolo per eccellenza. La storia della sua vita aveva provocato in me infinite avventure di pensiero. Era l’artista, il genio.. Grazie ad alcuni compagni di accademia avevo avuto l’opportunità di frequentare il teatro. Facevo parte della claque dei teatri . Govi mi era piaciuto molto ed i suoi personaggi mi incantavano e divertivano anche se lo conobbi soprattutto sullo schermo della TV. Voglio ricordare queste passioni con i ritratti fatti qualche anno fa. Non ho più i disegni di allora, non so dove siano finiti. Il mio omaggio è anche il desiderio di ricordarli. Oggi parlo di loro ma i miei eroi cittadini sono anche altri di cui parlerò a breve.

Ricordiamo Govi

Gilberto Govi

Il 28 di aprile del 1966, dopo una lunga malattia è mancato a Genova Gilberto Govi, nella città in cui era nato nel 1885. I suoi genitori non erano genovesi, ma lui seppe, con la vita e il suo lavoro rappresentare, l’anima ed il cuore di Genova e forse anche dei Liguri, ammettendo che ci possa essere una identità possibile.

Ho avuto la fortuna di incontrarlo personalmente e scambiare poche battute di occasione in compagnia di un altro comico, Marzari, suo grande estimatore . Avevo sentito parlare di Govi da lui, quando passavo a salutarlo in galleria Mazzini, seduto abitualmente al solito tavolino del bar a sorseggiare il suo caffè macchiato, prima di andare in Accademia ed alla Berio, che frequentavo in quegli anni. I ricordi sono nelle nuvole di ammirazione ed entusiasmo che il suo mito suscitava in me.

Mi sembrava più vicino, perché sapevo che anche lui, Govi, aveva frequentato l’accademia del disegno per farne una professione che abbandonò quando il teatro si impossessò completamente del suo destino.

I segni del mio lavoro, in questo ritratto, che ho avuto voglia di fare, lo colgono in un personaggio famoso di una delle sue commedie. Mi piaceva ricordarlo come maschera fuori dal tempo, anche se la sua voce commuove e coinvolge oltre le parole.

Ho visto con grande interesse le opere che la TV ha messo in onda negli anni sessanta e quando mi è capitato di vederle in programmazione,col passare degli anni, le ho seguite con grande interesse e divertimento.

Ha saputo fare della lingua genovese un mezzo per parlare attendibilmente di uomini e cose in maniera molto umana ed esauriente anche se disincantata . Uso questo termine, umano, perché non so definire diversamente gli umori e la spinta eccezionale che alle parole davano i suoi eloquenti gesti. Il potenziale era nell’atmosfera ironica ed allo stesso tempo efficacemente dialettica che riusciva a creare. Ascoltarlo era sempre un’avventura intelligente .

Come è mio mestiere, per questa idea di ritratto, mi sono avvalso dei colori per descrivere il gesto. Volevo contribuisse ad inscriverlo in un aria un poco surreale.

Govi è un icona genovese molto amata e di grande prestigio. Credo, mi pare, che possa incarnare, in maniera esaustiva tutti i caratteri veri e presunti del “genovese”, discussi nel bene e nel male. Le sue maschere sono burrasca ed acqua pura di sorgente che scorre nei carruggi ombreggiati dai palazzi che hanno attraversato una grande storia. Sono la realtà che si fa mito. Non hanno tempo e si collocano nelle fantasia e nella memoria di chi ha avuto la fortuna di incontrarle in teatro.

Accanto a lui, nella vita e nel lavoro c’è sempre stata Rina, sua moglie.

Questo Teatro, al quale ho il piacere e l’onore di dedicare il mio modesto lavoro è dedicato, a Gilberto e Rina Govi . E’ stato recentemente rinnovato e pieno di grande entusiasmo. Si trova a Bolzaneto, parte operosa e vivace della città. Se il teatro è vita, i nomi ai quali è stato dedicato sono una felice garanzia.